CRONACHE DAL FOND DE L'ETANG
Pagina di diario scritta in classe, dopo aver visto, analizzato e commentato insieme il film "Les Choristes" di C. Barratier.
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Caro Diario,
ho deciso di raccontarti la storia di come sono arrivato in questo collegio, il perché e come mi sento. Sono Davide e ho 12 anni; ormai mi trovo qui da diversi anni, perché i miei genitori, con il loro lavoro non riuscivano a mantenermi e allora hanno deciso di portarmi al “Fond de l’Etang “. Ho ricevuto la notizia la mattina a colazione, mi hanno detto che sarei stato in collegio per poco tempo e che sarebbe stato bello, avrei avuto l’opportunità di fare nuove esperienze. Io ero contento, da come mia mamma me lo aveva descritto, si giocava molto, i professori erano gentili…partii per il “Fond de L’Etang “, circa una settimana dopo avermi dato la notizia, ero emozionato, non stavo più nella pelle. Poi appena arrivato davanti alla grande cancellata, tutta la mia felicità svanì, avevo la sensazione che tutto quello che i miei genitori mi avevano raccontato non fosse vero, ma mi consolavo dicendo che l’apparenza inganna e che comunque sarei stato lì ancora per poco. Appena vidi i miei futuri compagni giocare a pallone, non ci pensai un attimo, corsi subito a giocare con loro, ma quella partita non durò molto perché arrivò quasi subito il direttore. Mi presentai, ma lui scorbuticamente mi disse che non c’era tempo da perdere e bisognava andare in aula a fare lezione. Allora io andai a salutare i miei genitori e corsi in classe. In aula ero l’unico che prendeva appunti e che studiava, per questo i miei compagni iniziarono a prendermi in giro e a chiamarmi “secchione”. Dopo un po’ mi stufai e lo andai a dire al direttore, ma lui disse che mi dovevo abituare perché sarei stato lì ancora per molto tempo. Io ero arrabbiato perché il direttore non aveva ripreso i miei compagni per il loro comportamento, ma comunque aveva ragione, mi dovevo abituare. Era l’ora di andare a dormire, andai sotto le coperte e chiusi gli occhi, ma quella pace durò ben poco, perché i miei compagni iniziarono ad urlare e a tirarmi via le coperte, anche se il direttore mi aveva detto che avrei dovuto sopportarli, io mi ero veramente stufato: allora presi una decisione, avrei iniziato anche io a fare arrabbiare, era l’unico modo per poter vivere in santa pace in quel collegio. Ma quando presi questa decisione, non sapevo ancora delle punizioni ed infatti me ne pentii il giorno dopo, subito dopo aver preso in giro il professore di matematica e strappato il foglio degli esercizi. A quel punto il professore lo andò a dire al direttore, che mi mise in cella per una settimana. Ero a pezzi ma almeno ero uno di loro e mi avrebbero lasciato in pace. Infatti, come previsto i miei compagni non mi presero più in giro e capii che quello era il modo migliore per vivere in questo collegio. Da allora il mio lato “buono “si mise da parte e iniziò quello “cattivo “. Andai avanti così per giorni, mesi e anni, la cella era diventata la mia casa. Ormai avevo capito che la storia dei miei genitori era solo una favola e che loro non sarebbero mai più tornati. Passati altri 4 anni, mi vennero i dubbi di come sarebbe stato il mondo una volta al di fuori di questo collegio, di come fosse cambiato nel tempo. L’unica cosa che vedevo cambiare era il prato che c’era davanti al cancello del collegio. Mi venne in mente di scappare, ma dove sarei andato? Qui almeno avevo un piatto caldo da mangiare, un letto in cui dormire e bene o male avevo degli amici. Ma mentre giocavo a calcio, mi venne in mente di scappare solo qualche ore e dopo ritornare, ero troppo curioso di vedere se il mondo era cambiato da quado ci vivevo io. Decisi di tentare la fuga temporanea il giorno dopo, mentre gli altri facevano lezione. Durante la notte non chiusi occhio, continuavo a pensare a come sarebbe stato il giorno dopo, provavo ad immaginarmelo, lo pensavo come a libertà, dove tutti i bambini facevano quello che volevano, giocavano, si divertivano…. Arrivato il mattino, mi comportai come sempre per non destare sospetti. Alla seconda ora dissi al professore di italiano che dovevo andare in bagno urgentemente e lui mi fece uscire. Attraversai il corridoio e mi trovai davanti al portone d’ingresso. L’ansia mi saliva all’impazzata, ma presi coraggio e tirai la maniglia, uscii dal collegio. Appena misi il piede fuori mi venne in mente che la città era lontana e non potevo andarci a piedi, per fortuna lì vicino c’era la fermata della corriera, così mi sedetti e aspettai fino al suo arrivo. Entrai in fretta per non farmi vedere dall’autista, che avrebbe potuto sospettare qualcosa e rimandarmi al collegio. La corriera partì e iniziai a guardare fuori dal finestrino: c’erano prati fioriti, boschi che anni prima non avevo mai visto, era bellissimo mi sembrava di vedere la libertà. Il viaggio mi sembrò durare pochissimo, perché arrivai subito in città. Scesi in un baleno, ma appena vidi fuori mi fermai, la città era così cambiata Da quando ci vivevo io. Iniziai a camminare e ogni passo che facevo vedevo qualcosa di diverso, case nuove, negozi nuovi, persone nuove. Guardai l’orologio della chiesa e vidi che era già tardi, corsi più veloce che potevo i piazza e per poco non perdevo la corriera. Tornato in quella che io chiamo prigione, il direttore decise che dovevo stare in cella per due settimane e per questo ho deciso di scriverti. Volevo sfogarmi con qualcuno che mi capisse. Anche se odio i miei genitori per quello che hanno fatto, spero che un giorno mi vengano a prendere perché è l’unico modo per uscire di qui.
Davide Bettoni
P.S. Mi è giunta voce che è arrivato un nuovo sorvegliante che ha deciso di creare un coro, penso sia un’ottima idea, magari quando uscirò da questa cella e proverò a cantare, mi sentirò più valorizzato.
Grazie per avermi ascoltato.
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